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Polvere e plastica: Benvenuti a Las Vegas.

 

Credevamo di dover avere a che fare solo con la dicotomia patinato/polveroso ma non avevamo fatto i conti con Las Vegas, che non è nessuna delle due.

Abbandonato Guadalupe (ma non era Santa Maria?) e il Motel Psyco, abbiamo ripreso la freeway per raggiungere la base dei nostri prossimi spostamenti: Las Vegas. Avevamo davanti a noi un viaggio lungo e faticoso ma che ci avrebbe ricompensato con quello che per molti viene considerato un vero e proprio paese dei balocchi: gioco d’azzardo, spettacoli, sesso facile. Tre buone ragioni per macinare 700 kilometri di deserto, sotto un sole violento di 42 gradi, ad una velocità massima di 88 km/h (pena vedersi sbucare dal nulla i temibili sbirri del Nevada).

Insomma la perdizione e l’idea del peccato che tanto contraddistingue questa particolare città si erano ormai impossessati di noi.Non è un caso che percorrendo la lingua di fuoco che unisce la costa californiana con Las Vegas, ci siamo imbattuti in una serie di cartelli ognuno dei quali recitava ciascuno dei dieci comandamenti. Deve esser stato una sorta di compromesso tra le due anime dell’america: quella bigotta che venera Dio e quella cinica che venera il libero mercato.

Abbiamo vissuto il viaggio, fin dai primi chilometri, con stanchezza e noia: sembrava non finire mai. Solo un episodio ha attratto la nostra attenzione regalandoci una tenerezza inaspettata. In una delle improvvisate stazioni di servizio incontrate durante il nostro percorso abbiamo assistito ad un improbabile book fotografico realizzato da una ragazza, con una piccola macchina fotografica compatta, ad una sua amica che indossava un vestitino succinto e la classica fascia di premiazione da Miss. Come location usavano una vecchia macchina arrugginita e abbandonata.

Il sogno americano, del tutto polveroso, stava lì, davanti a noi e lo vedevamo sciogliersi inesorabilmente sotto il caldo cocente del Nevada, tra gli anonimi luoghi sperduti di una nazione dalle dimensioni troppo grandi per poter permettere a tutti la realizzazione dei propri desideri. Ci portiamo ancora dietro il rimpianto di non averle potute aiutare con la nostra esperienza e attrezzatura fotografica.

Finalmente giunti nell’isola del peccato ci rendiamo conto che i chilometri di polvere ormai alle nostre spalle, non avrebbero mai confermato le nostre aspettative. Las Vegas ci appariva, nella hall di uno dei tanti alberghi, inesorabilmente finta, costruita, in poche parole: di plastica. La plastica delle ambientazioni chitc dei famosi monumenti del mondo. La plastica delle coperture colorate delle infinite lampadine. La plastica della forme sinuose di alcune donne che si riversavano in cerca di clienti.

La nostra sensazione era quella di vivere Las Vegas come un set del film “The Truman Show”, dove centinaia di comparse seguivano, inconsapevolmente, una sceneggiatura studiata a tavolino da altri. La domanda che ci siamo subito posti è: perchè gli americani vengono a Las Vegas? Lo abbiamo chiesto ad un nostro amico italiano, Luigi, che vive da anni in questa città e che ha realizzato il suo personale sogno americano sposandosi a Las Vegas, con una bella donna di Miami, in una mezzanotte di estate, come nella più classica delle sceneggiature di tanti film hollywoodiani. Secondo Luigi il popolo americano utilizza Las Vegas come una valvola di sfogo, a fronte delle continue vessazioni e repressioni di uno stato che prova a tenere sotto controllo tutto e tutti.

 

Sinceramente? non ci interessa. Domani si parte: via da Las Vegas.

 

3 Commenti

  1. Viaggio veramente originale. Sicuramente privo di stress da traffico, certo che la specie umana è veramente sorprendente viste le foto. Buon proseguimento.

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