“Il cinema in America è un’industria enorme che ha bisogno di buone storie, appena ne trova una la realizza, e poco conta se è già stata girata. Se si scrivono due sceneggiature si girano comunque due film diversi”. C’è tutta l’anima commerciale di Hollywood nelle dichiarazioni che David Fincher – pluripremiato regista di “Fight club”, “Zodiac” e del recente “The Social Network” – snocciola alla stampa italiana nel presentare l’ultima fatica. Remake della pellicola svedese diretta nel 2009 da Niels Arden Oplev, che ha lanciato la brava Noomi Rapace nel ruolo dell’hacker punk Lisbeth Salander, tratto dal primo capitolo della celebre trilogia letteraria firmata Stieg Larsson (65 milioni di copie vendute in 46 paesi), “Millennium – Uomini che odiano le donne” (in inglese “The Girl with the Dragon Tattoo”) è appena sbarcato in 400 sale italiane, e chissà se doppierà il successo degli States (oltre 98 milioni di dollari incassati in sei settimane).
Per chi non la conoscesse ecco la storia. Il giornalista Mikael Blomkvist (Daniel Craig, già acclamato interprete degli ultimi 007), la cui reputazione si è appena macchiata di una condanna per diffamazione, viene assunto da uno degli industriali più potenti della Svezia, Henrik Vanger (Christopher Plummer), per indagare sulla scomparsa dell’amata nipote Harriet, avvenuta 40 anni prima. Vanger sospetta che la ragazza sia stata assassinata da un membro della stessa famiglia, una raccolta di personalità più o meno folli, depositarie di vergognose verità. Per l’indagine, che si dimostra da subito piuttosto complessa, Blomkvist chiede aiuto a Lisbeth (Rooney Mara), giovane investigatrice esperta di computer con un passato torbido e un presente sfuggente. Insieme i due scopriranno una serie di omicidi del passato, prima di arrivare alla sconvolgente e terribile verità.
I fans del romanzo troveranno una trama parecchio sintetizzata (lo stesso regista ha ammesso la difficoltà di raccogliere 600 pagine in due ore e mezzo di film), tuttavia la sceneggiatura di Steven Zaillian e l’abile messa in scena di Fincher restituiscono una pellicola avvincente, ricca di tensioni (anche molto forti, soprattutto nelle scene di violenza sessuale) e risvolti psicologici. Non si tratta, infatti, solo di thriller poliziesco: come accadeva nel romanzo e nella prima versione cinematografica, anche questa storia utilizza l’indagine di Blomkvist e Lisbeth come pretesto per un’analisi più profonda. In “Millennium – Uomini che odiano le donne”, c’è una società apparentemente tranquilla e pulita, che lentamente svela un sottobosco di potere corrotto, misoginia, intolleranza e fanatismo. E c’è un rapporto complicato tra una ventiquattrenne abusata e un uomo maturo, che Fincher ha voluto indagare in misura maggiore rispetto al cineasta danese.
Imperdibili sono i titoli di testa (“Immigrant song” dei Led Zeppelin cantata da Karen O sulle immagini visionarie del regista è un mix spettacolare) come tutta la colonna sonora realizzata da Trent Reznor e Atticus Ross, e perfetta è l’atmosfera plumbea che la fotografia di Jeff Cronenweth restituisce. L’unico appunto riguarda i protagonisti, che sono bravi, per carità (la sfida di Mara, un ruolo opposto alla sua fisicità, è valsa la candidatura all’Oscar), ma non reggono il confronto con i precedenti Noomi Rapace/Michael Nyqvist. Probabilmente spinto da esigenze produttive, Fincher ha scelto due attori troppo belli e troppo hollywoodiani.
Alcuni comemnti della critica:
“Buono il cast, levigati i valori produttivi, ottima la regia di David Fincher: pur non travalicando i confini del genere, il suo Millennium lo conferma cineasta abilissimo a giocare sulle atmosfere, intrecciando un affascinante rapporto personaggi/ambienti”.
A. LK., La Stampa
“E’ perché è un’avventura intellettuale che questo Millennium americano appassiona più della sua versione autoctona. E’ dalla collaborazione fra lo smarrito Blomkvist e l’imbattibile hacker Lisbeth Salander (sorprendente Rooney Mara, ectoplasmatica ma piena di appetiti, dunque sempre stranamente fisica) che deriva la forza inengabile di questo film”.
Fabio Ferzetti, Il Messaggero
“Il romanzo di Larsson prima di essere adattamento si adatta alla poetica fincheriana, che riguarda da sempre la morale individuale e la patologica condizione di smarrimento interiore dell’individuo nella società contemporanea. (…) La trasposizione dell’autore è qualcosa di diverso dal romanzo di origine, una riscrittura che scava più in profondità, producendo valore aggiunto, illuminando Larsson e concedendo un’ulteriore chance al suo romanzo”.
Marzia Gandolfi, MYmovies.it
“Regia accuratissima e attori in parte per un thriller che però ha evidenti cadute di tensione e alcuni punti morti nella storia”.
Adriano Ercolani, Film.it