Leo (Filippo Scicchitano) è un sedicenne che si divide tra musica, bici e calcetto. Per lui non esistono mezze misure, solo il Bianco e il Rosso. Bianco come il silenzio, il vuoto assoluto e la noia, Rosso come i capelli di Beatrice (Gaia Weiss), la ragazza del quarto anno “bellissima e irraggiungibile” che fa sognare ad occhi aperti. Leo si preoccupa poco della scuola, tanto sa che i compiti può copiarli dall’amica del cuore (Aurora Ruffino), ma fa lo stesso amicizia con il professore di lettere (Luca Argentero), che gli insegna a coltivare i sogni. Quando finalmente conosce il sogno più bello, lei si è ammalata di leucemia e ha perduto tutti i capelli. Il ragazzo non molla: fino alla fine resta vicino alla sua amata e per salvarla arriva a donare il midollo osseo.
Tratto dal bestseller del professore di liceo Alessandro D’Avenia (co-sceneggiatore con Fabio Bonifacci), “Bianca come il Latte, Rossa come il Sangue” (nelle sale il 4 aprile con 01) è chiaramente diretto a un pubblico di teenager, ma sa arrivare anche al cuore degli adulti. Dopo 40 minuti la commedia si trasforma in dramma –una sorta di “Love story” all’italiana – e l’attenzione dello spettatore si sposta verso le sorti della giovane donna divorata dal cancro, soprattutto verso il dramma del protagonista, che alterna gli slanci d’amore al dolore più cupo.
Il regista Giacomo Campiotti impasta qualche cliché adolescenziale con temi importanti come la malattia e la ricerca disperata di Dio, e il risultato non dispiace. Scicchitano è sempre più bravo (il talento si vedeva già in Scialla!), Argentero incarna il perfetto prof impegnato-appassionato e ricorda a tratti il Faletti di “Notte prima degli esami”, le due ragazze – la modella francese Weiss e l’italiana Ruffino – sono una bella scoperta. Alla fine il film si rivela un inno alla vita (perché tutto continua, anche l’amore), nonostante la narrazione passi attraverso la morte. Chi ha lacrima facile prepari i fazzoletti.
ALCUNI COMMENTI DELLA CRITICA:
Marzia Gandolfi, MYmovies.it
Bianca come il latte, rossa come il sangue ribadisce la sensibilità di Campiotti per l’adolescenza intesa come periodo di lutto, perché include un sentimento di vivo dolore per la fine dell’infanzia e del senso d’identità riparato e narcisistico. Ma a Leo spetterà in sorte un dolore più grande di quello di vedere scomparire il bambino che era prima. La sua ribellione passerà per la morte di Beatrice e approderà a un’immagine nuova di sé, a un’identità e a un corpo altri, in un mondo finalmente policromo. Leo farà esperienza della finitudine e frequenterà il dolore trasformandolo in amore dentro un film semplice come sanno essere le storie vere, quelle che nascono dall’urgenza dell’autenticità. Adolescenza, lutto, solidarietà che muove il desiderio comune di guarigione non trovano però nella messa in scena una commisurata corrispondenza, sfumando nella convenzionalità la sensibilità e la spontaneità che annunciavano.
Bianca come il latte, rossa come il sangue finisce per arrendersi agli schematismi di una narrazione dal respiro irrimediabilmente corto e prevedibile, che ‘sentenzia’ attraverso le battute del professor Luca Argentero e della paziente Gaia Weiss. Su tutto e tutti i picchi emotivi governano dispotiche le note dei Modà. Ridondanti e ‘in levare’ suturano il film, riempiendo insostenibilmente ogni fotogramma, eccedendo il bel sorriso di Filippo Scicchitano e gravando l’irriducibile leggerezza dell’adolescenza.
Carola Proto, ComingSoon.it
Di Bianca come il latte convince soprattutto la seconda parte, quella in cui lacrime e sorrisi coesistono. La prima, volutamente scanzonata, non trae certo beneficio dalla voce-off, scontato escamotage a cui i nostri sceneggiatori continuano a ricorrere soprattutto quando portano al cinema romanzi narrati in prima persona.
Con educazione vorremmo dire loro che, se un personaggio è ben scritto e caratterizzato, non c’è bisogno né di spiegazioni né di presentazioni. Le immagini in movimento hanno da sempre il grande pregio di costituire un linguaggio autonomo e decifrabile, tanto più comprensibile quando esiste una colonna sonora che ha valore diegetico. Qui il compito spetta ai Modà, che con la struggente “Se si potesse non morire” danno voce alle emozioni di un film che, anche nei momenti più terribili, resta pieno di vita.
Luciana Morelli, Movieplayer.it
Un’opera vivace nei modi ma un po’ svogliata nella narrazione, semplice come sanno essere le storie che parlano di vita vera ma anche tortuosa nel trovare le risposte alle tante domande del suo protagonista.
Fabiola Fortuna, FilmUp.com
I personaggi vivono in una Torino calma e tranquilla, una città che li protegge in tutto e per tutto. C’è solo uno spettro tremendo che annerisce tutta la vicenda: la malattia che blocca una vita giovanissima. Un argomento così delicato e drammatico, che viene probabilmente dal romanzo omonimo che ha ispirato il film, è trattato però in modo superficiale e a volte persino sgradevole.
Anche dal punto di vista tecnico, il film di Giacomo Campiotti lascia un po’ a desiderare: una regia piuttosto semplice, funzionale al racconto, si dimostra insufficiente in alcune sequenze, che non filano correttamente anche a causa di un lavoro poco attento in sede di montaggio. Ma questi sono dati di poco conto se pensiamo al contenuto di un prodotto che viene definito “commedia”: di divertente c’è ben poco, considerando che molte gag sono praticamente usurate e straviste, al cinema come in televisione. Il giovanissimo pubblico potrà però godere di alcuni inserti grafici e soluzioni visive efficaci e piacevoli. (…) Il film in questione non è chiaramente un prodotto valido; il dato però più grave è la sua natura di offerta preconfezionata. Insomma, con poca qualità di contenuti e di forma, lo strappo del biglietto è comunque assicurato.