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Venezia 72: apertura gelida con Jake Gyllenhaal e Josh Brolin

Da Venezia la nostra inviata Marilena Vinci. Primo giorno.

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Venezia, 2 Settembre 2015 – Una reazione impassibile e perplessa ha accolto la proiezione stampa di “Everest” di Baltasar Kormákur, il film di che ha aperto la 72° edizione della Mostra del cinema di Venezia. Gelida come la montagna e la tormenta che ha flagellato i protagonisti della storia (realmente accaduta nel 1996), la stampa non ha applaudito né contestato in alcun modo la proiezione, in modo alquanto insolito. Al netto del valore del film che è sembrato scivolar via contrariamente ai suoi due più recenti predecessori nello stesso ruolo (“Gravity” e “Birdman”) sembra esserci un fil rouge esistenziale a unire i tre film dell’era Barbera (Direttore della Mostra): una donna persa nello spazio in lotta per la sopravvivenza (“Gravity”), un uomo in lotta con il suo alter ego sulle tavole di un palcoscenico (“Birdman”) e un gruppo di uomini pronti ad un’impresa davvero ardua, scalare il tetto del mondo sfidando le leggi della natura e della sopravvivenza.

Nel film il regista islandese racconta, basandosi sui racconti e sul libro “Aria sottile” del sopravvissuto Jon Krakauer, delle spedizioni commerciali degli anni ’90, pagate ben 65 mila dollari per scalare la vetta più alta del mondo, lì dove la vita umana è impossibile.

Per accompagnare “Everest” (che nelle sale italiane arriva il prossimo 10 settembre con Universal) sono arrivati in laguna Jake Gyllenhaal, Josh Brolin, Jason Clarke ed Emily Watson, assieme alle due mogli dei veri scalatori protagonisti del film.

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“Ho portato con me sul set il tempo islandese. – spiega il regista Kormákur – A questo film mi sono preparato da piccolo, quando affrontavo le intemperie per andare a scuola. Ricordo quando vivevo in una fattoria e, per spostarmi, a volte rischiavo di essere spazzato via dal vento. Ho cercato di riprodurre quella sensazione. In Nepal siamo andati alla scoperta dei veri luoghi in cui è avvenuta la storia, ma è stata molto dura perciò, viste le condizioni meteo, a un certo punto ci siamo spostati sulle Dolomiti e abbiamo girato tutto il possibile lì. Volevo che gli attori assorbissero dalla natura, non volevo figure tipiche delle sceneggiature di Hollywood, ma personaggi più intimi. Il resto è stato fatto in studio (tra cui una parte a Cinecittà, ndr) Esistono moltissimi filmati dei luoghi reali dell’incidente. Due anni prima dell’inizio delle riprese, anche noi abbiamo tentato la scalata. Sul set ci sono stati momenti potenzialmente pericolosi e ho fatto soffrire molto gli attori, ma nessuno si è mai ferito”.

Per Jason Clarke “non sarebbe stato possibile raccontare questa storia senza andare sui luoghi. Ci sono parti girate in studio, ma l’ambiente reale è stato fondamentale. – assicura – In alcuni momenti c’erano 60° sotto zero e abbiamo provato cosa significa avere la neve gelida che ti sferza la faccia”.

Secondo Josh Brolin “in film come questo i registi ti chiedono di mutare te stesso per entrare in contatto con la natura. Baltasar ha cercato di ridurre la simulazione per ottenere sentimenti reali, ma quando si gira un film la componente di finzione è inevitabile. Se giri un’opera su un disastro aereo non puoi vivere per davvero l’esperienza altrimenti non esisterebbe il film”.

Unica donna del cast presente al festival Emily Watson che racconta: “non credo che in Everest le donne siano relegate in ruoli inferiori. Una delle eroine del film è Yasuko Namba, l’alpinista giapponese, prima donna a scalare le Sette Vette. Vediamo Helen per lo più al Campo Base, ma è tutt’altro che un posto facile in cui essere. A me interessava la figura di Helen perché era un personaggio molto diverso dagli altri. Era una testimone impotente, rappresenta il lato emotivo della storia e per me era una sfida recitativa”.

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Eppure, come spesso capita, un ottimo cast e un budget hollywoodiano non bastano a fare di “Everest” un grande film. Quella a cui si assiste è un’avventura empatica ma poco coinvolgente, in cui le motivazioni e i sottotesti legati alle ambizioni, alle paure e alla follia non emergono. Tornando al fil rouge del principio una cosa molto probabilmente non accomunerà i tre film d’apertura dell’era Barbera: l’Oscar.

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SPECIALE
72. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia
2-12 settembre 2015

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