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“Bambine cattive”, quando la risata è donna

Intervista a Teresa Lallo e Alessandra Sarno.

“Una volta Claudio Bisio ha detto che la risata al femminile è rara perché le donne non sono capaci di mettersi in discussione. Ma noi siamo determinate a dimostrare, con le risate del pubblico, che le comiche ci sono e sanno anche far ridere”. Parola di Teresa Lallo, cabarettista di Foggia, mamma e, come lei stessa ammette, “avvocato per hobby”. Quattro anni fa Teresa ha detto no alla dittatura dei colleghi maschi e, rispondendo alla chiamata dell’attrice/autrice Giulia Ricciardi, ha contribuito a formare un gruppo di comicità dove le donne sono protagoniste assolute.

Le “Bambine cattive”, così si chiamano, vengono da tutta Italia e per due lunedì al mese si esibiscono al Teatro dei Satiri di Roma (prossime date: 20 febbraio; 16 e 19 marzo; 2, 16 e 30 aprile). “E’ un laboratorio autoprodotto – spiega Alessandra Sarno, attrice barese che vive tra Roma e Milano (già vista accanto a Robert De Niro nel “Manuale d’amore 3” di Giovanni Veronesi) – una specie di work in progress che va anche in streaming, sul canale www.livestream.com/bambinecattive, dove si possono rivedere le serate precedenti”. Oltre alla Ricciardi che conduce, alle attrici Lallo e Sarno, fanno parte dello show Nadia Perciabosco, Caterina Gramaglia, Loredana De Paola, Barbara Foria, Giuditta Cambieri e Laura De Marchi. Non solo: ogni serata ospiterà una nota star maschile.

Intervista a Teresa Lallo

Com’è nato il gruppo di “Bambine cattive”?
Da un’idea della Ricciardi, che era stufa di vedere le donne “congelate” nei vari laboratori. In quelli organizzati da Zelig, per esempio, gran parte delle ragazze resta confinata nei camerini e partecipa al massimo a due puntate di Zelig off. Il risultato? In Italia le comiche note sono pochissime rispetto ai colleghi maschi e di certo non è perché non esistono!

La comicità appartiene ai maschi?
In giro è pieno di donne autoironiche ma, per definizione, il sesso femminile si è sempre messo poco in discussione. Di norma la donna che ha la cellulite cerca di nasconderla, mentre la comica vince quando ha 50 di cellulite e ne fa vedere 100. E si parla sempre di uomini che bersagliano le donne (e tutte ridono), poco del contrario. Io attacco il maschio in platea con simpatia, perché la prima a mettersi in gioco sono io: mi massacro una decina di minuti e poi  prendo di mira gli spettatori.

I tuoi monologhi includono sempre il pubblico…
Tra noi ci sono attrici come Alessandra che sono molto brave a immedesimarsi nei personaggi e ragazze, come me e qualche altra, che sono più cabarettiste. L’interazione con il pubblico è difficile: è qualcosa che devi avere dentro e richiede tanta preparazione.

Da quanto tempo fai cabaret?
Più o meno da 14 anni. Non sono una comica televisiva, ma ho girato tutte le programmazioni nazionali e d’estate, nelle piazze, ho lavorato con i comici più noti.

Prima del cabaret?
Il teatro a Roma, dove sono arrivata nel 1983 per iscrivermi alla facoltà di Giurisprudenza. Poi ho incontrato la compagnia di Checco Durante e mi sono innamorata di questo lavoro. Ho cominciato con i ruoli comici, puntando sullo “slang” della pugliese trapiantata nella Capitale, fino a quando non ho conosciuto quel matto di Teo Mammuccari. Eravamo in un locale dove si faceva cabaret, così ho cominciato. Pian pianino mi sono costruita i primi monologhi, che sperimentavo con una paura fottuta: guardavo la gente e temevo una reazione negativa.

Ti è mai successo?
Mi succedeva i primi tempi. Una volta, in un locale della Casilina, un tipo mi guarda e dice: “la devi da finì di rompe li co……!”. Gli rispondo con il sorriso ma dentro sto morendo. Adesso non capita, sono più sicura e individuo subito il fenomeno che posso stuzzicare.

Torniamo alle “Bambine cattive”. La Ricciardi vi propone l’idea e poi?
Il laboratorio inizia quasi per gioco. Ci incontriamo e decidiamo i nostri pezzi, e per essere libere ci autoproduciamo. L’anno scorso abbiamo girato una serie di puntate per “Comedy central”, il canale comico di Sky. E’ stata un’esperienza-enigma, perché dopo la registrazione non abbiamo avuto più notizie. Però il programma è ancora in replica.

Il vostro sogno?
Esibirci in un grande teatro, che ci dia più visibilità.

Uno show tutto al femminile. Eppure, nel panorama comico italiano, continua a regnare l’uomo.
Succede a teatro e in tutti gli altri campi. Forse perché gli uomini sono sempre stati il centro del potere, mentre le donne sono associate alla sfera emotiva. Mi spiego: se un uomo dice no accentua la sua forza, ma quando è la donna a farlo entra in gioco la sensibilità. Oddio ho il cuore di mamma, non posso ferire…Su questa dicotomia il maschio si è costruito un mondo e la donna continua a essere considerata troppo “sensibile” per un ruolo di comando.

Il tuo rapporto con la maternità?
Mi ha rincretinito (ride), perché ho due figli-iene che mi fanno impazzire. E però sono la cosa più bella che mi potesse capitare: la mia è una maternità adulta, quindi fortemente voluta.

Gli amici ti chiamano “tigre”: un animale che  ti assomiglia, sia nella fisicità sia nel personaggio che porti in scena. Ma Teresa com’è?
In fondo sono una tenerona: non una gatta morta ma una tipa tranquilla. E’ vero, la gente si diverte a vedermi “incazzata”: fa parte della mia comicità, così come i chili che ho messo in gravidanza.  Ogni tanto mi viene in mente di mettermi a dieta, poi penso che devo modificare il repertorio e cambio idea. Chi me lo fa fare?

Come nascono i tuoi monologhi?
Spesso dal quotidiano. Una volta entro in un negozio di biancheria intima per comprare un corpetto. Quando la commessa mi dice il prezzo, 500 euro, io mi stupisco e lei mi fa: “Signora, ma ha guardato le rifiniture?”. Su queste rifiniture ci ho scritto un pezzo di 10 minuti. In sintesi i miei monologhi prendono in giro la donna matura che vuole essere giovane e bella a tutti i costi, anche se il tempo non glie lo permette. Prima scrivevo tutto da sola, poi ho cominciato a collaborare con alcuni autori: Marco Perrone, Daniele Giacchetta e adesso Giulia Ricciardi.

Com’è stato lavorare con autori uomini che scrivono sulle donne?
Dico sempre che i miei collaboratori sono delle “froce”, nel senso che tirano fuori la parte femminile. In realtà, quando scrivono per me, pensano alle nevrosi delle loro donne.

Con le “Bambine”, invece, che rapporto hai?
Siamo una banda di pazze: c’è la pacifista, la più grande, l’incazzosa, quella che mette ordine, l’impegnata, quella che sbrocca… E siamo un gruppo unito, dove non ci sono rivalità.

Progetti futuri?
Il 21 marzo, sempre al Teatro dei Satiri, debutto con un testo ideato da me e scritto da Giulia. Il titolo è “Affetti collaterali” e porta in scena la seduta di una donna dallo psicanalista. Con le “Bambine cattive” sperimenterò alcuni brani dello spettacolo.

L’incontro che ti ha cambiato la vita?
Su un treno per Venezia, nel ’96. Ho conosciuto mio marito Luca, un sottufficiale della Marina.

Un consiglio alle giovani precarie?
Studiare e impegnarsi per farsi trovare pronte. E’ un momento triste, ma non possiamo farci abbattere. Io sono fiduciosa: come si dice, la crisi aumenta la creatività.

Il desiderio da realizzare?
Il mio benessere e quello dei miei figli. Se poi tra un anno arrivo al Sistina sono contenta, ma non è l’obiettivo che perseguo a ogni costo. Ho questa famigliola felice e spero che la mia vita continui ad essere così com’è, colorata.

A che cosa non sai dire di no?
Alla Nutella e ai baci dei miei bambini.

Intervista ad Alessandra Sarno

Come sei entrata nel laboratorio delle “Bambine cattive”?
Faccio parte del gruppo da un anno: a chiamarmi è stata Giulia, che è il deus ex machina del laboratorio. Lavorando tra Roma e Milano, la mia partecipazione è molto libera. L’anno scorso, quando sono state scelte le ragazze per le puntate su “Comedy central” c’è stato il delirio, perché alcune le hanno prese e altre sono state sostituite dalle solite “amiche”. Giulia era furiosa e il programma, poverino, è venuto fuori una porcheria.. Il problema è che era fatto da autori uomini, che di donne non capiscono niente.

Adesso siete più autonome?
Ci riuniamo per parlare dei nostri pezzi, che rimangono tra noi. Abbiamo deciso di dire basta agli incompetenti e alla dittatura degli uomini. Nei laboratori di Zelig è pieno di attrici donne ma poi, in televisione, sono tutti maschi.

Motivo?
In Italia le donne continuano a essere considerate per il culo e le tette. Ma noi siamo prima di tutto lavoratrici e “Bambine cattive” è un modo per dimostrare che il talento femminile esiste.

Un consiglio alle giovani precarie?
Andate via dall’Italia, se potete.

Parliamo del tuo personaggio. Da dove viene “Filomena Martoriata”?
Da mia sorella (ride), quando vado a trovarla è sempre un po’ “martoriata”. Poi ho pensato alle assistenti di volo, che sono tutte esaurite. E ai voli low cost, che implicano una serie di pagamenti extra. Nella seconda parte del monologo, Filomena ha in mano una trota intera: “Questo è il sushi – dice al passeggero – . Come? Non sa sfilettarlo? E che devo fare tutto io?”.

Vedremo Filomena anche nelle prossime serate?
Sarò un po’ Filomena e un po’ cosmetologa, una donna che impazzisce per le creme e dice di essere favolosa ma poi si scopre che è bulimica. “Ah…perché io uso questa crema sverniciant, urticant, scorticant, che toglie le piccole impurità…”. Insomma, una matta.

Anche l’hostess è un po’ matta…
Mi piace prendere in giro le alterazioni psico-fisiche delle donne (ride). E infatti il mio spettacolo s’intitola “Mado’ come sto’ esaurita”. Il pezzo fa così: “Io oggi sto benissimo, io sto bene, io sto poco bene, io sto male”. L’idea mi è venuta incontrando le amiche che non vedo da tempo. All’inizio ti dicono che stanno alla grande ma poi, man mano che ci parli, vengono fuori problemi allucinanti.

Il primo lavoro nel mondo dello spettacolo?
Ho versato il primo contributo Enpals nel 1989 per una pièce teatrale. Ero appena arrivata a Roma e frequentavo la scuola di Antonio Salines al Teatro Belli. Poi sono andata in tournée per tre anni con “Nunsense”, il musical delle suore e da lì è partito tutto.

Hai sempre saputo che volevi diventare un’attrice?
In realtà mi sono presa una laurea breve in “Prevenzione odontoiatrica”. In soldoni sarei un’igienista dentale di Bari, ma Berlusconi non mi ha mai invitato a Palazzo Grazioli! Scherzi a parte ho fatto l’igienista per un piccolo periodo, per pagarmi la scuola.

Come seduce Alessandra Sarno?
In tanti modi…prima di tutto con la simpatia. Aiuta tantissimo, altro che la bellezza! Certo c’è lo sguardo, la sensualità, tutte cose che hai o non hai. E io, modestamente, le ho! In più ci deve essere la chimica.

Sul tuo sito ti definisci un’attrice pronta a tutto…
Ai tempi di Berlusconi la frase faceva ridere.

Ti hanno mai chiesto una scena hot?
Purtroppo no!

Con chi vorresti girarla?
Con Alessandro Gassman. Perché a te non piacerebbe?

Hai cercato di sedurre De Niro…
Nella scena di “Manuale d’amore 3” io e Emanuela Grimaldi siamo due sorelle pugliesi, c’è anche Michele Placido. Ci provo in tutti i modi, ma De Niro non mi fila e si innamora della Bellucci. Banale.

Lui com’è?
Bello, magro, sensuale. Arriva sul set con quell’aria da mito, perché De Niro è il Mito. Sono andata anche a lezione di inglese per conquistarlo: “Hi Robert, how are you?”, ma lui niente! Insomma, potremmo definirlo un incontro tragi-comico, così divertente che lo racconterò in un monologo.

Altri progetti?
Sto girando i teatri della Brianza con “Shakespeare in green”, una versione di Romeo e Giulietta ai tempi della raccolta differenziata. E a fine marzo uscirà al cinema “Buona giornata” dei fratelli Vanzina. Io sarò la moglie di Diego Abatantuono: un bel ruolo, sempre girato in Puglia.

Al cinema e in teatro reciti soprattutto in pugliese. Non pensi che questa caratteristica possa diventare un limite?
Non credo. E’ vero che quando faccio cabaret mi piace mostrare la mia “pugliesità”, ma se mi proponessero altro accetterei volentieri.

L’incontro che ti ha cambiato la vita?
Quando ho conosciuto Giorgio Centamore, il mio compagno. E’ autore di Enzo Iacchetti e “Striscia la notizia”, e qualche volta scrive anche per me. Il nostro è stato un incontro tra creatività diverse, che ha cambiato il mio modo di vedere la vita.

Un regista con cui ti piacerebbe lavorare?
Ken Loach e Giulio Manfredonia, di cui ho adorato “Si può fare”. Vorrei lavorare di nuovo con Veronesi e mi piacerebbe essere la moglie di Rocco Papaleo. Mi sono anche proposta: peccato che nel prossimo film sarà un prete!

Il tuo sogno?
Vincere il David di Donatello nella parte più drammatica che esista. Ma come attrice “non protagonista”, lo preferisco.

 

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