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Il paradiso è amaro per George Clooney

La dipartita prematura della moglie costringe Matt King (George Clooney) a fare i conti con due figlie difficili e importanti eredità da gestire. Candidato agli Oscar 2012, il film di Alexander Payne è nelle sale italiane dal 17 febbraio, distribuito dalla 20th Century Fox. 

In “Paradiso Amaro” lo scapolo d’oro più ambito di Hollywood si spoglia degli abiti da divo in favore delle camicie hawaiane e di pantaloni color cachi. George Clooney interpreta Matt King, discendente diretto del re Kamehameha ed erede del suo vasto territorio, che vive senza pensare alle ricchezze acquisite per la sua discendenza e lavora nove ore al giorno come avvocato.

Impegnato negli affari trascura le due figlie e la moglie Elizabeth. Quest’ultima per colmare il vuoto lasciato dal marito impiega il suo tempo sfidando il pericolo tra le onde dell’Oceano Pacifico. Tutte donne dunque con la tendenza all’autodistruzione quelle della famiglia di Matt, rese ancora più instabili dalla caduta in coma irreversibile di Elizabeth a seguito di uno sfortunato incidente in mare. Matt si trova così a riprendere le redini della sua vita in seguito alla perdita della moglie, nonostante una dura verità che dovrà affrontare insieme al lutto.

La metafora di Alexander Payne, regista della pellicola, è questa: la famiglia è come un arcipelago, ogni membro è come un’isola che si allontana costantemente dalle altre. In natura questo moto di allontanamento è inarrestabile, ma nella vita isole così distanti possono riavvicinarsi con la condivisione di una forte esperienza comune. Ed è proprio da questa forza che la famiglia si ricostituisce in “Paradiso Amaro”.

Vincitore del Golden Globe come migliore interprete maschile, e candidato agli Oscar 2012 nella medesima categoria, George Clooney appare però statico e poco reattivo, incapace di mostrare le sfaccettature e le diverse sfumature emotive del suo personaggio. La scarsa empatia non aiuta dunque Clooney che, paradossalmente, avrebbe meritato, di gran lunga, la candidatura per la sua interpretazione ne “Le Idi di Marzo”.

Alexander Payne d’altro canto mostra un lato inedito del paradiso statunitense, le Hawaii, uno Stato pieno di contraddizioni, ma anche pervaso da una forte integrazione culturale, attaccamento alla famiglia e alle tradizioni autoctone.

“Paradiso Amaro” (The Descendants) risulta in sintesi una pellicola piacevole ma poco efficace. Una buona sceneggiatura sulla carta che però non convince sullo schermo, e che di riflesso avrebbe meritato una sola nomination: quella per la regia di Payne.

Nelle sale italiane dal 17 febbraio 2012, distribuito dalla 20th Century Fox.

Alcuni commenti della critica:

“Payne imbastisce una storia tra commozione e sorriso, tutto il cast è indovinatissimo”.
Alessandra Levantesi Kezich, LaStampa.it

“Scopriremo quante verità nascoste verranno rivelate a questo nuovo uomo senza qualità (come accadeva a Warren Schmidt), quanto la sua accidiosa sicurezza di sé l’abbia trasformato in un essere meschino e perdente (come in Election) ma come l’invasione delle novità nella sua vita, rappresentate da esseri umani più sorprendenti di alieni (come in Sideways), possa produrre cambiamenti in positivo”.
Francesco Alò, BadTaste.it

“Tante le emozioni, tante le sfumature emotive e tante le vicende legate a doppio filo l’una all’altra raccontate in questo dramma intriso di ironia e tragicità che Alexander Payne con la sua grazia e la sua straordinaria lucidità riesce a trasformare in qualcosa di magico. Il dolore, la sofferenza, il rancore e molto più semplicemente l’amore sono narrati in The Descendants in tutta la loro complessità e in tutte le loro manifestazioni attraverso personaggi di grande spessore umano, vitali e mai sopra le righe nonostante alcune situazioni un po’ fuori dall’ordinario”.
Luciana Morelli, Movieplayer.it

“Alexander Payne, che è un maestro nel mostrare la natura umana con tutte le sue debolezze e sfaccettature, non ha bisogno di digressioni, gli bastano i rapporti tra i personaggi, i primi piani insistiti, i dialoghi perfetti, per restituirci tutta l’umanità e la normalità di una famiglia straziata dal dolore, in cui non ci sono né buoni, né cattivi, ognuno con le proprie mancanze e le proprie colpe, dove la tragedia imporrà a tutti di fare un percorso di dolorosa conoscenza di sé e dell’altro”.
Elisa Giulidori, Filmup.com 

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