Al Teatro Ambra Jovinelli di Roma “Qui e Ora” con Valerio Mastandrea e Valerio Aprea. Regia di Mattia Torre.
di Francesca Lisa
Sfondo nero, nuvole alternate di fumo che si propagano dal basso, un segnale stradale illeggibile piantato nel bel mezzo del nulla. E’ questo il panorama scenico con cui Mattia Torre apre e caratterizza per tutto il tempo della narrazione il suo “Qui e Ora”, pièce teatrale a due voci, quelle di Valerio Mastandrea e di Valerio Aprea, da tempo confermati collaboratori del regista romano, che in questo spettacolo, in programma al Teatro Ambra Jovinelli di Roma fino al 2 Marzo prossimo, vestono i panni di Aurelio e Claudio, due sopravvissuti a uno scontro in moto, superstiti di un curioso destino o, in una prospettiva ribaltata, artefici essi stessi di una collisione inconsapevolmente ricercata e finalmente portata a compimento.
L’incidente che conduce i due uomini a risvegliarsi l’uno accanto all’altro, in un luogo imprecisato alla periferia del Grande Raccordo Anulare, rappresenta il preludio più che di una (forzata) conoscenza, di una vera e propria collisione tra due mondi agli antipodi: da un lato, quello superficialmente patinato del borioso Aurelio, chef e conduttore radiofonico, dall’altro, quello mestamente rassegnato di Claudio, uomo qualunque, separato e con mutuo a carico. Il loro incontro/scontro costituisce il pretesto per la messa in scena del fallimento di un Paese ormai rassegnato al disservizio e al malcostume, abbrutito dall’odio tra individui e poteri istituzionali e, prima ancora, tra individui medesimi, omologati in svilenti stereotipi che altro non sono se non la manifestazione tangibile di un incolmabile vuoto, tanto culturale quanto sociale.
Ecco allora che il senso di abbandono evocato dalla scenografia si riflette nei personaggi, che per tutto il tempo utilizzano la chiave del sarcasmo più cinico per rimbeccarsi a vicenda, opponendo così due universi che, per quanto apparentemente distanti e desiderosi di distruggersi l’un l’altro, in realtà si ritrovano uniti nella medesima, tragica sorte di eterni sconfitti.
Il testo di Torre, esortando la necessità più che attuale di una riflessione sulla società e i suoi individui, in alcuni punti cede probabilmente troppo alla sottolineatura ironica e alla battuta facile, sottraendo una parte importante al contenuto più profondo che, in ogni caso, nell’interpretazione di Mastandrea ed Aprea trova due sinceri e impegnati interpreti.